VIOLENZA DI GENERE
- Dott.ssa Paola Bernuzzi
- 12 ore fa
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Imparare a rispettare il “no” di una donna
Con il precedente articolo ho parlato di quanto sia importante per il corretto sviluppo psico-emotivo dei bambini insegnar loro a convivere con l’impossibilità di avere sempre ciò che vogliono.
Purtroppo la cronaca dei recenti fatti mi ha spinto a restare su questa riflessione per osservare cosa poi succede agli adulti (o giovani adulti), abituati ad avere sempre ciò che chiedono, quando devono affrontare un “no” come risposta.
L’importanza di saper rispettare un rifiuto — soprattutto se espresso da una donna — rappresenta un punto cruciale nella costruzione di relazioni sane ed equilibrate.
Fino al 5 agosto del 1981, che in termini di evoluzione sociale è praticamente ieri, in Italia la legislatura penale prevedeva il “Delitto d’onore”, grazie al quale erano previste pene ridotte per chi uccideva la moglie, la figlia o la sorella in determinate circostanze, giustificando l'omicidio come atto volto a "riparare" l'onore offeso. Dalla legge 442, che prevedeva l’abrogazione dell’articolo 587 del Codice Penale, sono passate circa tre generazioni e molti che appartengono alla terza sono ancora in vita. Questo significa che molte delle persone che erano già adulte negli anni ’80 hanno vissuto in giovane età in una società nella quale era legalmente accettato che un uomo usasse il femminicidio come mezzo per rimediare ad un torto che riteneva avesse offeso il suo onore.
Anche se sono passati 44 anni dall’abrogazione, il sentimento sociale è ancora molto forte nelle realtà dove l’onore risulta essere a tutt’oggi il punto di riferimento per il comportamento maschile.
Quando, nello scorso articolo, parlavo della difficoltà di far crescere nei figli l’abilità di affrontare e gestire la frustrazione per non avere sempre ciò che si desidera, mi riferivo anche a chi, da adulto, non riesce (non vuole) ad accettare che una relazione sia diversa da come se l’era immaginata.
I recenti terribili delitti, e ne cito uno per tutti, quello della povera Martina Carbonaro, sono generati dalla incapacità dell’assassino di accettare un comportamento diverso da quello desiderato. Che siano genitori che pretendono che sia accettato un matrimonio organizzato, o che sia un fidanzato respinto, oppure un ex che non accetta che chi lo ha lasciato si sia rifatta una vita felice, tutti ricadono in questo terribile pensiero: “non posso permettere che lei faccia quello che vuole senza tener conto del fatto che a me non va bene”.
Tra i paesi industrializzati, è stata l’America l’ultima che ha ufficialmente emendato la sua costituzione vietando la schiavitù nel 1865, eppure ancora dopo 160 anni assistiamo a comportamenti violenti che limitano la libertà di altri esseri umani, in virtù di un possesso esercitato illegalmente.
Il delitto d’onore, per la legge italiana, era relativo al rapporto uomo-donna, ma sappiamo bene che esiste un altro tipo di delitto d’onore che viene ancora fortemente esercitato in tutte le realtà di associazione a delinquere. Per dirla più semplice, possiamo affermare che uccidere una persona sia ancora oggi, per alcune realtà sociali, del tutto comprensibile perché è ritenuto l’unico modo per mantenere il proprio onore degno di rispetto.
Alla base di questo comportamento sussiste l’incapacità di sopportare il sentirsi impotente di fronte al comportamento di qualcun altro che agisce in contraddizione con quanto sia stato disposto. L’omicidio la soluzione attuata per non accettare un no come risposta. In pratica, stiamo dicendo che la violenza in questi casi viene ritenuta il metodo più efficace per affermare la propria supremazia sociale. Questo deriva dalle prime esperienze sociali, dove vince il più forte e per stabilire chi è il più forte, vengono messe in atto continue sfide basate sulla forza caratteriale, mentale e fisica. Esattamente come fanno i lupi quando devono scegliere il capo branco.
Una società che si ritenga evoluta non può permettersi di avere ancora le sue basi posate su leggi sociali come questa. L’evoluzione deve inevitabilmente prevedere un cambio di prospettiva, deve valorizzare le qualità positive, costruttive e socialmente adeguate, altrimenti non sarà possibile evolvere.
Il rifiuto non è un’offesa personale, né un fallimento per chi lo riceve: è semplicemente l’espressione della volontà di un’altra persona.
Va detto chiaramente: l’amore o all’attenzione di qualcun altro, non può essere inteso come l’esercizio di un diritto conquistato tramite l’onore. L’amore non è un contratto, né una ricompensa. È, semmai, un incontro libero tra persone che si riconoscono e si amano reciprocamente. E quando questo incontro non avviene, la dignità (l’onore, quello vero) sta nell’accettarlo con eleganza.
Rispettare un “no” significa riconoscere l’altro come soggetto e non come oggetto del proprio desiderio. Significa accettare che ogni persona ha il pieno diritto di scegliere con chi entrare in relazione, a prescindere dalle aspettative altrui. In questo senso, accogliere un rifiuto senza rabbia o risentimento è un gesto di profonda civiltà e umanità.
L’educazione affettiva e sessuale gioca un ruolo essenziale. Fin dall’infanzia, è fondamentale insegnare il valore del consenso, non solo in senso sessuale, ma in ogni ambito della vita. Capire che un “no” in ambito relazionale, non deve avere bisogno di spiegazioni, giustificazioni o attenuanti è il primo passo per costruire una cultura del rispetto. Nessuna persona può essere obbligata a ricambiare sentimenti, attenzioni o interessi. Il rifiuto di una relazione non rende il rifiutato persona meno rispettabile.
È naturale provare delusione, tristezza, frustrazione. Ma è proprio nella gestione consapevole di queste emozioni che si misura la maturità di una persona. Trasformare il dolore in rispetto e il dispiacere in crescita personale è un atto di forza, non di debolezza.
È nostro dovere insegnare ai ragazzi a riconoscere che, il vero amore non è insistere per ottere la persona desiderata, ma lasciarla libera di scegliere se amarci o no. Perché solo dove c’è libertà, può esserci davvero rispetto.